venerdì 13 febbraio 2009

Henry Darger (Chicago, 12 aprile 1892 – Chicago, 13 aprile 1973)






La prima volta che ho incontrato Henry Darger è stato lo scorso 28 ottobre, a casa di un conoscente a New York. Ero seduta nella penombra davanti ad una grande finestra in un cottage antico e scricchiolante, davanti a me, in quella parte del Bronx nota come Riverdale, un'ansa iridescnte dell'Hudson. Al tramonto, mentre gli aceri rossoreggiavano come da copione e le anatre scivolavano sul pelo d'acqua, l'occhio m'è caduto sulla costa di un catalogo ancora incellophanato intitolato a Darger. Ho chiesto chi fosse e mi è stata raccontata la strana storia di un uomo schivo e misterioso nella cui piccola abitazione di Chicago, post mortem, il locatore rinveni' centinaia di tele e cartoni dipinti. Il giorno dopo, nell'American Folk Art Musem (quando visito le grandi città riesco non si sa come a mancare i grandi musei e a cacciarmi in quelli piccoli, questo è a due passi dal MOMA) Darger mi è venuto incontro, essendo a lui dedicata una sala di questa raccolta di arte varia, folklorica nel senso piu' ampio del termine. E nella pace assoluta di quel luogo appartato una strana inquietudine mi ha lambita e invasa poco a poco.
Darger, che faceva il custode per campare, ha riempito per tutta la vita con smania ossessiva grandi superfici di una narrazione per immagini che potremmo annoverare trai cicli epici. The story of the Vivian Girls (anche nota come The Realm of Unreal) narra di una schiatta di vergini fanciulle orribilmente e a vario titolo perseguitate. La colorazione di questi grandi pannelli è perloppiu' ad acquarello, ma la trama fitta di rimandi e simbolismi è in molta parte tessuta d'inserti a collage. In questa saga di volti paffuti, di chiome dorate, di manine protese a cogliere teneri virgulti, occhieggiano visioni macabre, simulacri religiosi, mostruosità animalesche. In un'alone di luce sempre chiaro s'intrecciano corpi e visioni che alludono di continuo ad una qualche latente mostruosità. Darger ritaglia o copia dalle pubblicità dell'epoca lieti musetti di bebè e li dissemina sul fondo di una specie di giardino botanico dell'orrore. Anche nei cartoni meno espliciti s'intuisce che questa delle Vivian Girls è una storia di corpi votati alla profanazione, alla tortura e al sacrificio. Nella luce calda di una primavera già sfiorita Darger dissemina una levità compenetrata di morte. Un richiamo muto serpeggia tra rami ritorti e carichi di boccioli, l'aria si rapprende attrono ai cappellini, ai fiocchi, alle gale di figurette perennemente incantate da un sospetto di Male, esse stesse non piu' innocenti per il fatto che intuiscono e levitano dentro un'aura di disfacimento e corruzione. A tratti la violenza erompe esplicitamente, patiboli e cappi da forca, lame che incidono, corpi nudi e dilaniati. Ma non è lì che il senso della fine percorre la sua teoria piu' vasta, lì si compie. E' in tutto il resto che si addensa maggiormente, laddove lo sguardo ne coglie l'annuncio. Darger racconta la morte piu' di tutto trai fiori e le farfalle, nei ritratti di un'infanzia sospesa e raggelata, nel suo palpitare sul fondo della ragnatela.
Considerato un esempio da manuale della cosidetta Outsider Art. Henry Darger è stato addirittura sospettato di essere stato un serial killer. La sua strabiliante, originalissima opera racconta spazi dell'inconscio che la razionalità preferisce a suo modo esorcizzare.

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