lunedì 30 marzo 2009

Un tondo perfetto: Cimabue (Firenze 1240 ca. - Pisa 1302) e Giotto (Vespignano 1267 - Firenze 1337)




Questa settimana conto di andare a vedere la mostra GIOTTO E IL '300 e intanto mi ricordo di queste due enormi pale d'altare. Che sono la cosa piu' bella (per me, allora adolescente, inaspettatamente bella) vista agli Uffizi ormai moltissimi anni fa, la prima volta che c'ho messo piede. Gigantesche, dorate e calde, fisse e ammiccanti, maestose e dolcissime. Ne fui letteralmente rapita e dovetti velocemente ricredermi sulla retorica bieca che sprigionava dai libri di scuola a proposito di Giotto e Cimabue.
Il tondo perfetto del giovane Giotto, se Vasari racconta il vero, doveva esser perfetto come null'altro. C'è tanta di quella architettonica padronanza e sapienza in queste due pale, che nella maestà raccontano la viva e alacre semplicità del tempo e, soprattutto, celebrano con evidente forza laica la maternità della ma-donna. La verità è che questi due ritratti sfondano la muraglia della ieraticità bizantina pur reiterandone le pose canoniche e sono consustanziati di una passionalità ben governata. Sono illuminati, pieni, sferici, appunto, dell' intelligenza che li pervade. Che in Cimabue è tutta mitezza, in Giotto - a ben guardare - lancia una sfida. Perchè lo sguardo della sua vergine (quella su sfondo d'oro) non è esente da una sorta di baldanza muliebre, da una possanza che interroga chi la guarda e che non puo' non cogliere nella sua matronale compostezza un guizzo come di santa ribellione. Un'onda di pacifica ed eterna belligeranza.

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